Primo Articolo 2019

SAN FOCA – Mentre si vendeva il pescato sulla banchina ai piedi della torre costiera, sede della delegazione di spiaggia della capitaneria di porto, al suo interno è avvenuta la consegna alla società Tap dell’area demaniale (mare e spiaggia) interessata dalle opere per la costruzione del gasdotto.

Il presidio organizzato per l’occasione dal Movimento No Tap ha registrato la partecipazione di una cinquantina di persone, armate di bandiere e di tanto risentimento per quella che definiscono la svendita del patrimonio pubblico agli interessi privati, in pratica un tradimento.

Quando il rappresentante della società è uscito dall’edificio, circondato da personale della Digos e carabinieri, è diventato bersaglio di una forte contestazione verbale. Caricato su un’auto, è stato portato in banchina, dove lo attendeva una unità navale leggera della guardia costiera per il sopralluogo, come prevede la burocrazia in casi come questo.

Il video della contestazione

Sul molo la scena si è ripetuta, abbattendosi anche sugli uomini della marina militare, ai quali è stato rimproverato di disonorare la divisa. E c’è stato anche chi che non si è trattenuto nei confronti dei pescatori del posto, perché silenti davanti ad un’opera che li riguarda direttamente. Tap da tempo è giunta ad un accordo con le principali cooperative che operano nella località.

A parte i volti consueti che animano il movimento, del resto, non c’era nessun altro a dare manforte: non associazioni né movimenti di ispirazione politica, non il popolo che pure si schiera sui social e se la prende con chi non prende posizione oppure lo fa troppo tiepidamente. Segno dei tempi.

La concessione: 3 milioni di euro per 50 anni

La concessione concerne 37mila metri quadrati di superficie in mare e 493 sulla costa. Tap ha già versato a settembre un deposito cauzionale di 121mila 600 euro, pari all’importo della concessione per due anni. L’entrata complessiva è stimata in tre milioni di euro. Sarebbero potuti essere il doppio, ma in virtù di un decreto legge del 1989, poi convertito, il canone “è ridotto del 50 per cento in considerazione del fatto che le aree e gli specchi d’acqua occupati dal gasdotto in parte interrato e l’esercizio della concessione stessa, non precludono l’uso dell’area e dello specchio d’acqua sovrastante o altre possibili funzioni consentite da leggi o regolamenti”. Un passaggio che lascia intendere il ripristino della attività balneari appena terminati i lavori, ma del quale il sindaco di Melendugno, marco Potì, non è affatto convinto.

Il sindaco: “Una giornata amara”

“Per noi è una giornata amara. Ho scritto decine di volte al ministero delle Infrastrutture, alla Regione Puglia, agli uffici del Demanio – ha risposto il primo cittadino, presente al presidio insieme al vice sindaco, Simone Dima – per sapere se quel pezzo di litorale sarà fruibile oppure ci dobbiamo scordare la frequentazione di una spiaggia che l’allora presidente della Regione, Vendola, ebbe modo di definire come una delle più belle del Mediterraneo: non ho mai ricevuto risposta”.

La diffidenza sul destino di quel tratto di spiaggia e di mare viene dalla citazione del nulla osta di fattibilità dei vigili del fuoco, dove sono indicate, per ragioni sicurezza, le fasce di rispetto di 300 metri. Per Potì quello di oggi è dunque un giorno di amarezza, accompagnata da una considerazione di tipo politico: “La concessione porta la firma del ministro Toninelli, esponente di quel Movimento 5 Stelle che è contrario alle fonti fossili, alle trivelle, al gasdotto: in teoria dicono così, dall’altra firmano i provvedimenti. Anche per questo siamo indignati e siamo qui a manifestare pacificamente”.